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La traiettoria del vento

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La traiettoria del vento di Ninnj Di Stefano Busà, Ed. Kairos, 2013

 

di Gabriella Pison

 

“La poesia toglie alle cose il velo della consuetudine; rende visibile il volto invisibile del mondo, perché suo obiettivo è la bellezza nascosta” scriveva il Premio Nobel Odysseus Elytis, così Ninnj Di Stefano Busà , anche per mezzo della  valenza ieratica data alla sua parola, raggiunge una dimensione cosmica e metafisica, che le consente di rileggere il mondo in chiave simbolica e di grande impatto emotivo.

La sua scrittura è pathos intellettuale, si coglie la grazia da fiorettista e l’affondo determinato della profonda conoscitrice dell’animo umano; un’intensità dietro ogni lemma in un crescendo di proporzioni armoniose, una penna libera da condizionamenti retorici, ma allusiva, avviluppante, sensuale che conduce lungo un itinerario mai scontato. Un viaggio “oltre da sé”, oltre l’omega per approdare ad orizzonti più illuminanti, per anelare ad una vera epifania della mente.

La traiettoria del vento è la continuità naturale del Sogno e la sua infinitezza (altra sua raccolta esemplare): l’avventura della ragione che non rinuncia all’evasione ultramaterica, al bisogno di appropriarsi di una spiritualità che conferisca certezze metafisiche, anche se l’inganno dell’esistere si disvela in questa impotenza, in questo soliloquio che sembra frantumare la speranza:

 

“E io non ho parole, ma solo qualche sillaba

di scorta, qualche nulla che è uguale

ad altro nulla e vince sempre

il buio dopo la luce, e tutto si conclude”

 

e poi ancora

 

 

 

“Nulla di ciò che traspare è riconducibile

alla felicità, eppure tace

o muove al delirio la linfa dei giorni,

misura la pienezza del battito alle tempie.

Niente esce illeso.”

 

Ma subito lascia lo spazio a versi che prendono corpo e respiro  di rinascita, dove la luce sopperisce al vuoto:

 

“Se c’ è una frattura vi si oppone un sole,

un’ansa di cielo che tenta

i minimi spiragli, una voce, un ricordo,

o solo un soffio a mezz’aria, di brezza,

tra vortici d’ombra a baciare gli afflitti.”

 

In un susseguirsi di atmosfere che ricordano a tratti il male di vivere montaliano :

 

“La foglia resta foglia, eppure, adombra

il suo contorno, si accartoccia,

disvela tutto il suo travaglio

nella brezza autunnale di settembre.”

 

E si tingono di un rarefatto piglio di speranza dickinsoniano, quando scrive Canta l’anima lo stupore dell’Avvento, in cui rari momenti di gioia ci disorientano dall’abitudine al dolore.

 

“Bisogna perdersi fra quelli che non conosciamo, affinché raccolgano le nostre cose dalla strada, dalla sabbia, dalle foglie cadute mille anni nello stesso bosco” scriveva Pablo Neruda, così anche in Ninnj Di Stefano Busà la realtà è sempre presente sotto l'aspetto di un ineluttabile divenire, dove accettazione, perdita, lacerazione, rinascita ricamano la trama di un disincantato osservare :

 

“Non cercammo riparo dagli anfratti, ci fu dato il sentiero tracciato ,la terra rossa, l’asperità selvaggia di sopravvissuti.”

 

Pastore dell’essere  e luogotenente del nulla: parafrasando Heidegger, si può dire che la Poesia trovi in Ninnj Di Stefano un vate dai tratti più escatologici che estetici, con l’arduo compito di descrivere il soggiorno dell’uomo nel mondo della contingenza, con la tensione  ad un’ascesi che trascenda la finitezza .

L’azione poetica di Ninnj Di Stefano Busà intuisce una vocazione apparentemente terrena, che, scavando, con maieutica quasi sapienziale, nell’esperienza umana, grazie ad un uso straordinario della parola, porta ad un’intima risonanza con la grazia…

“Un nuovo giorno al posto dell’inverno, da lì, lanciare il cuore oltre le nuvole.”

 

 

Trieste, 2 marzo 2013

 

                                                               Gabrie

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